GIOVAGNOLI LUCA
“IN UNA NOTTE COME QUESTA”
08.10.2011 • 08.11.2011
E se un giorno d’estate
Presentazione critica di Annamaria Bernucci
L’immaginario collettivo evoca spesso le spiagge romagnole descrivendole come luoghi dove mare e divertimento diventano ‘industria’, dove la folla che gremisce il litorale pulsa di giorno e di notte, dove una strada illuminata o soltanto una ferrovia separa l’universo balneare dalle città fisiche e storiche. C’è poi quell’arteria che taglia come un compasso la lunga pianura che è l’Emilia e giunge al mare, e lì si disfa del suo carico di viaggiatori e villeggianti, come amava ricordare lo scrittore Tondelli, sversando la sua varia umanità su un’orizzonte fatto di sabbia e fiumi, di porti-canali e distretti industriali, di attrezzature e stabilimenti balneari, di alberghi di vecchio e nuovo conio, di attività per lo svago e pinete superstiti.
Un limen straordinario, la spiaggia, un confine aperto verso il mare dove tutto può accadere e può manifestarsi in un atto liberatorio e in gesti che rompono con le abitudini. E’ un confine dove è possibile affrancare la nozione del tempo, abbandonarsi a sentimenti e pulsioni nuove. Un territorio separato, un altrove che acquista la distanza temporale, che parla di occasioni perdute, di ricordi d’infanzia, di infatuazioni e di trasgressioni.
Quanto questa realtà sia progressivamente entrata nelle abitudini visive di Luca Giovagnoli è espresso dalla sua pittura densa di riferimenti reali, di vissuti trasfigurati; un habitat, quello dei luoghi di mare, in grado di insinuarsi e alterare la percezione, capace di alimentare fantasie e suggestioni e far galoppare sfrontatezze e allusioni.
Solo che Giovagnoli dipinge fuori dalle pastoie di correnti e regimi critici, fuori dai luoghi comuni.
Ha avuto giovanissimo una propensione per la grafica e il fumetto – è lui a raccontarlo- e ha poi ha mostrato una coerente disponibilità storica a cogliere i cambiamenti della pittura maturati tra gli anni ’80 e ’90. Ha fatto proprio lo spazio offerto dalla tela per rivendicare il piacere della figurazione, mantenendo una libertà espressiva che dalle prove maturate già con la mostra Lettere anonime (2002) presentata da Vittoria Coen proseguirà con Notte di mare (2004), Adriatica (2007), Questioni personali (2010) affidata alla lettura critica di Franco Basile. Giovagnoli possiede uno sguardo aperto: Basquiat, come Salle come Barcelò, ma anche l’osservazione delle campiture cromatiche evidenziata dalle spesse linee di contorno di Dufy o Derain, ha padronanza con il lessico graffitista e la pittura gestuale.
Lo sforzo di smaterializzare lo spazio, irrorarlo di luce e creare una sospensione temporale è una abilità che Luca Giovagnoli mette in atto con sapiente calibratura di elementi pittorici, sia di superficie e cioè grafici, sia di materia, cioè tele di canapa dalla grezza trama preparate con mestiche e spesso sabbia e cariche di colore.
Per chi osserva è come se i suoni e il clangore delle cose e della gente sparissero all’improvviso e il silenzio isolasse dai rumori di sottofondo tutta l’umanità di Giovagnoli che formicola lungo le spiagge o che affolla fantasiosi paesaggi urbani, bambini, bagnanti, ragazze a passeggio sulla riva del mare, volti o gruppi che sembrano fuoriusciti da fotografie vintage di giornali d’epoca.
I titoli hanno l’incisività dell’aforisma. Sono riflessioni, cariche di enigmaticità che l’autore porge al suo spettatore: quasi volesse ingaggiare una discussione e porre domande su quanto narrato nei quadri e sulle storie che lì si sviluppano, come un romanzo breve che ha bisogno di interrogarsi sulla sua stessa natura. Parafrasando Calvino: “Quale storia attende laggiù la fine? ”
Giovagnoli si lascia folgorare da un evento, oppure da un dettaglio che ingigantisce nella memoria. Sono annotazioni autobiografiche che, come una sonda nell’intimità, emergono con stupore e ironia. Una manciata di stelle come una pioggia di fuochi artificiali, la macchinina rossolacca sulla quale pedalare e sfidare in una gara i compagni, il bagno tra le onde, la passeggiata sul bagnasciuga, i giochi dell’infanzia, la foto di gruppo, l’attesa per un appuntamento, il lungomare dove si celebra, da stagioni, l’abitudine del passeggio e sfilano le automobili, gli esotici kursaal.
La memoria privata si sostituisce alla memoria pubblica, diviene virtuosa, perciò sa dimenticare e con l’oblio taglia i cattivi ricordi per far emergere la positività del vissuto.
O i sogni.
Un po’ come avviene con gli album fotografici di famiglia quando si selezionano le immagini da conservare che modelleranno la memoria postuma. Giovagnoli sa reinventare, dando ai ricordi nuova identità, con una pittura fatta di disincanto, ma che sa essere ludica e sottilmente visionaria. Trasforma in leggerezza le proprie fantasie oniriche che fuoriscono da paesaggi infiammati o dalla densità della notte o che prendono sostanza nella carnalità di una figura femminile.
Capita che la creatività vada incontro agli artisti allenati all’esercizio e alla pratica. Così se un giorno d’estate, attraversando la campagna assolata dell’entroterra riminese, non lontano da quelle spiagge dove si consumano i riti balneari, tra profili di ipermercati all’orizzonte e capannoni industriali ci si dirigesse nel suo studio-laboratorio, si entrerebbe nel luogo operoso della sua immaginazione.
Ambiente di vita e di lavoro, si apre come un teatro. Per chi ha qualche dimistichezza con gli studi di artisti di lunga militanza, malgrado l’età anagrafica di Giovagnoli, sa bene che entrarvi significa cedere quasi sempre ad un progressivo ammaliamento. Qui nelle stanze aperte dove con costante dedizione la sua ricerca si misura e si consuma tra pigmenti, tele, sabbie si è accompagnati al cuore pittorico dei suoi lavori. Alla loro creazione.
Come scriveva Ezio Raimondi a proposito delle ‘stanze della creatività’ ovvero gli studi degli artisti “ciò che vi si sperimenta è una sorta di irripetibile ‘aura’ intima e luminosa che coincide con la ricerca, un lavoro paziente, una scoperta di immagini e di emozioni: in una parola, i modi della creazione continua, che è sempre invenzione, una costruzione di un mondo nel mondo.“